30 Nov Costruire le Action Lines (linee d’azione) nella vendita strategica.
© Articolo di: dott. Daniele Trevisani www.danieletrevisani.it, Direttore Studio Trevisani Formazione e Consulenza e Studio Comunicazione Aziendale, articolo estratto con modifiche dell’autore dal libro “Strategic Selling”, Franco Angeli editore. Per approfondimenti è possibile iscriversi al canale YouTube dedicato ai video di Vendita del dott. Daniele Trevisani – e alla rivista online di Formazione “Communication Research e Potenziale Umano” da questo link.
Passare dalle regole preconfezionate alle linee di azione ragionate
La tentazione di ricorrere a regole preconfezionate, nella negoziazione, è grande.
Sarebbe molto bello poter dire “quando parli con un Cinese, fai…, quando invece sei in America Latina fai x non fare y, e vedrai che il successo è garantito…”
Le regole comportamentali rigide rifiutano di prendere in considerazione la realtà dell’imprinting (matrice) culturale, la varietà di personalità, il lato emotivo dei soggetti e la loro identità multipla: un cinese può avere lavorato per multinazionali americane ed avere maggiore cultura di business anglosassone di un americano del midwest, può essere adirato o felice, può avere avuto esperienze positive o negative in passato con persone della nostra nazione, e questo non lo possiamo né sapere a priori né stereotipare.
Usiamo ancora come metafora il Kamasutra per far emergere come le regole stereotipate prendano forma:
“Nelle faccende d’amore, un uomo dovrebbe compiere ciò che è gradito alle donne dei diversi paesi. Le donne delle regioni centrali (cioè quelle tra il Gange e la Jumna) hanno indole nobile, non sono propense a pratiche vergognose né amanti delle pressioni esercitate con unghie e denti. Le donne del paese di Blhika si seducono a furia di percosse. Le donne di Avantika amano i piaceri turpi e ignorano le buone maniere. Le donne del Maharashtra nutrono una vera passione per le sessantaquattro arti, pronunciano parole volgari e scostanti, amano essere interpellate allo stesso modo, e sono in preda a un’irresistibile voglia di piaceri.”
Segue una ulteriore sequenza di tipologie con correlata sequenza di prescrizioni. Qui vogliamo usare la metafora del Kamasutra per evidenziare una similarità con chi fornisce regole stereotipate ai negoziatori. Siamo certi che “le donne del paese di Blhika si seducono a furia di percosse”, o non può darsi che chi vada a Blhika in India e dia percosse ad una donna venga messo in galera? Nessuna regola vale per sempre e con tutti.
Le regole stereotipate possono andare bene solo in una società non globalizzata. Oggi i mix culturali producono una multi-stratificazione di culture in ogni individuo che ha contatti con altre culture, per cui non è più possibile dare regole comportamentali certe. Quello che serve è un approccio flessibile, che tenga conto della realtà incontrata e non degli stereotipi, poiché nella negoziazione non esistono regole culturali assolute.
Dare ad un Europeo che debba negoziare in Cina regole certe di comportamento efficace basate unicamente sul fatto di trattare con una persona di nazionalità cinese è una bestemmia. Immaginiamo il contrario: dare ad un cinese regole certe di comportamento negoziale quando deve negoziare con un Italiano. Con quale italiano? Con il titolare di un pastificio del basso Polesine, che ha ereditato la sua azienda dalla famiglia, e in cui si parla solo dialetto veneto? Con un romano trentenne che ha un Master in Business Administration a New York? Con un bolognese che ha vissuto quattro anni in America latina come area manager di una azienda meccanica? Con un sardo pensando conosca solo mare e pascoli, mentre in realtà è un programmatore informatico?Con un milanese dando per scontato che sia orientato al business, mentre in realtà vorrebbe aprire un bar in Costa Rica?
Le realtà che si possono incontrare sono le più diverse, e, come accennato, il grado di varianza intra-culturale non è minore di quello inter-culturale.
Le poche regole certe devono essere quelle di:
(1) disporre di una “minima condotta efficace trans-culturale, o minimo comune denominatore del comportamento negoziale cross-culturale”, un approccio di qualità conversazionale che possiamo pensare di poter applicare ovunque, es: non interrompere inopportunamente, non offendere la “faccia” e immagine altrui, non esporsi con affermazioni pericolose in campo valoriale e religioso, cercare di capire gli interessi della controparte, e
(2) conoscere le poche basi culturali generali dell’area geografica o merceologica ove si opera: il background culturale probabilistico che si potrà incontrare, le regole probabili (e sottolineiamo probabili, non certe) che vigono in una certa cultura geografica, etnica o professionale – anche queste da prendere con le pinze. Es: se vieni invitato nella casa di un imprenditore o commerciante arabo, non guardare sua moglie direttamente negli occhi. Ma queste regole – se applicate come dogmi infallibili – rischiano di produrre gaffe, come quelle che si danno sulle guide turistiche americane sugli usi e costumi locali, ad esempio ad un americano che venga in Italia si dice “gli italiani gesticolano molto, quindi tu gesticola molto”, con il rischio che questi, arrivato a Milano ed iniziando a gesticolare come un ossesso, venga preso per pazzo e rinchiuso.
Come osservano Balslev e Rorty, la mancanza di certezza disturba il pensiero occidentale, ed è difficile da accettare.
“…la riluttanza tipicamente occidentale ad accettare l’incerto, contro una incapacità filosofica di accettare forme di razionalità svincolate dalla verità e dalla certezza…”
Occorre quindi cambiare paradigma, passare dalle regolette certe alla flessibilità del comunicatore, occorre un cambiamento di atteggiamento, un cambiamento inevitabile, ma, come osserva Balslev, «sentire che un cambiamento è inevitabile, senza che i suoi contorni siano ancora chiaramente visibili disturba il pensiero più di quanto si sia generalmente disposti ad ammettere». D’altra parte non è certo la prima volta che il genere umano si trova a vivere senza certezze e già Seneca, a conclusione di una lettera sull’educazione, osservava che in un mondo in cui regnano il disordine, la confusione e l’incertezza non resta che affidarsi ad un’«attiva ricerca personale». Di fronte a nuove situazioni non servono criteri, ma nuovi strumenti e atteggiamenti. C’è bisogno di pensatori cosmopoliti, di “cittadini del mondo” capaci, come dice Balslev, di “pensare globalmente” senza tuttavia abolire le differenze locali», disposti «ad azzardare l’ipotesi che la propria tradizione sia una forma di chiusura e che quindi riescano a vedere nell’incontro con l’”altro” un arricchimento, una imprevista apertura di nuove possibilità per il proprio sviluppo».
Soppesando i pro ed i contro di diverse opzioni di contenuto, è necessario giungere alla definizione di quale messaggio dia la maggiore probabilità di successo.
Probabilità, e non certezza. Dobbiamo quindi studiare la linea di azione con i minori ritorni negativi latenti, prevedere e anticipare i rischi di effetto boomerang.
Se siamo invitati da un commerciante arabo nella sua casa, spetta a noi capire, inquadrare (attività di framing) se sembra essere una famiglia tradizionalista, ortodossa, integralista, o informale, o ancora dove e quanto ha studiato questo commerciante, che potrebbe non avere istruzione formale o avere invece due lauree prese a New York o Sidney. Solo applicando un atteggiamento di apertura e ascolto possiamo interagire efficacemente.
La produzione di una linea di azione comunicativa non può ricorrere a stereotipi (es: “se sei attaccato, contrattacca”) e non avviene per pura intuizione creativa: essa è frutto di studio, di confronto, consultazione, scambio di pareri tra colleghi e tra colleghi e consulenti. Richiede ricerca, esplorazione di opzioni, valutazioni di fattibilità e anticipazione degli effetti. Richiede, in altre parole, l’umiltà del negoziatore professionale, che è sempre proteso a testare le proprie strategie e mosse, pronto con umiltà a confrontarsi con colleghi e consulenti sulla loro possibile efficacia, prima di lanciarsi nell’azione ciecamente seguendo stereotipi.
Questa umiltà rappresenta il vero fattore distintivo del negoziatore professionale rispetto al “negoziatore rampante”, distingue il prototipo del negoziatore arrogante che pensa di avere sempre ragione e usa stereotipi, da chi si siede ad un tavolo per analizzare e costruire qualcosa. Distingue chi si fa forte di leve contrattuali (potere, denaro, legislazioni, politica) da chi ricerca realmente un approccio win-win, di vantaggi reciproci. Distingue chi ritiene che il successo sia sempre dovuto e venga in tasca automaticamente, da chi pensa di dover costruire attivamente il proprio successo. Distingue chi si scava lentamente la sua fossa, da chi crea qualcosa per gli altri e non solo per se stesso.
Per costruire Action Lines di successo, è quindi necessario il confronto, concretizzato tramite diverse sessioni di brainstorming e di role-playing nelle quali esporre e testare le possibili linee di azione comunicative, per poi scegliere la linea a maggiore probabilità di riuscita.